Dark city – Proyas – 1998



Dark city è un film del 1998 diretto da Alex Proyas.

Siamo (solo) la somma dei nostri ricordi?
Proyas (Il corvo) tende un filo che collega questa e altre disturbanti e profonde domande in una pellicola che potremmo definire un noir fantascientifico.

La cura dell’estetica, delle luci e delle inquadrature è notevole. L’uso massiccio dell’oscurità e dei soggetti scolpiti fuori dal buio grazie a una luce curatissima dà quasi l’impressione di veder animarsi un fumetto d’autore.

Con la ricerca insistente di simmetrie, di ambientazioni cupe e movimenti di camera ansiogeni, il regista riesce a tenere alta la tensione per tutto il film, gettandoci nell’incubo di un uomo che ha perso la memoria e si risveglia vicino al cadavere di una donna assassinata.

Questo è solo l’inizio dell’incubo dal quale il protagonista si potrà svegliare solo capendo chi è davvero e, per farlo, dovrà capire molto altro, mentre noi veniamo catapultati in una storia sci-fi ma con ambientazione noir anni ‘50.

Di questi film esistono due versioni: la Theatrical cut (la versione originale proiettata nei cinema) e la Director’s cut (montaggio successivo del 2008).
La versione originale inizia con un monologo che è stato aggiunto all’ultimo minuto su richiesta della New Line Cinema, la casa di produzione, la quale giudicò la trama troppo complessa. Questo monologo, a mio avviso, è uno spoiler e rovina completamente il film perché deruba lo spettatore dello smarrimento iniziale e del percorso di scoperta progressiva della trama che invece sono fondamentali.
Consiglio vivamente di guardare la versione Director’s Cut (che omette quel monologo oltre ad aggiungere dialoghi che danno spessore alla trama) oppure, se si guarda la versione originale, suggerisco di disattivare l’audio all’inizio, riattivandolo al primo piano dell’orologio da taschino.

Dark city non è solo un film di fantascienza con una storia potente, originale e ottimamente narrata (soggetto dello stesso Proyas), con dei cattivi talmente ben rappresentati da essere a tratti disturbanti, ma è anche un forte spunto a una critica verso una società che mette in crisi l’unicità dell’individuo imponendo identità che impersoniamo con grande diligenza immergendoci a tal punto da pensare che noi siamo quelle identità, sopraffatti da una realtà controllata, manipolata, fabbricata, dalla quale non sappiamo se saremo in grado di affrancarci.

Questo film spinge a porsi molte domande ma forse la più importante è questa: cosa fa di noi quello che siamo? E dove dobbiamo guardare per scoprirlo?