“Ti faccio sentire un pezzo mio?” Farlo oggi rispetto a 15 anni fa



Le differenze tra far ascoltare un tuo pezzo nel 2000 rispetto a farlo nel 2015. Uno scritto che dedico, con ironia, a tutti gli amici musicisti che mi seguono. 

2000-2015

 

– NEL 2000 –

Tu, il musicista, e lei, l’ascoltatrice, in auto parcheggiati al tramonto di un mite pomeriggio di Maggio.
Una chitarra acustica, il testo stampato e consegnato nelle sue mani per seguire le parole.
Il momento prima che il plettro inizi a sfiorare le corde… Emozione pura.
Tu inizi il pezzo, struggente, tutto d’un fiato. Lei non dice una parola fino alla fine.
Terminata la canzone, silenzio assoluto! Finché lei dice solo un’unica frase: “Dovresti stare attento a quello che suoni. Alle persone potrebbe arrivare davvero quello che sentivi mentre l’hai composta. Io l’ho sentito.”
Mentre lo dice, piange.

 

– NEL 2015 –

Tu, il musicista evoluto, dopo anni hai registrato quello stesso brano al pc, aggiungendo basso, batteria, altre chitarre, fiati… Un’opera!
Lei, un’altra ascoltatrice, in piedi di fianco a te, davanti al computer, attende l’inizio del brano. Tu, tutto emozionato, premi play e via…

A 0:01 lei fa: “E’ un po’ alto il volume, abbassa un po’”.
Nel dirlo copre quel fraseggino introduttivo di chitarra che avevi tirato giù dopo settimane di ripensamenti perché serviva un’intro veramente raffinata e una cosa banale non ti bastava. Va beh, pazienza. Abbassi il volume.

0:08, lei: “Ma non me l’avevi già fatta sentire?”
Tu vorresti argomentare dicendole che le hai già spiegato chiaramente due minuti prima che è un pezzo che lei non ha mai sentito visto che è un vecchissimo pezzo riarrangiato su cui lavori da mesi che hai finito giusto ieri notte alle 5 di mattina e lei ha l’onore di essere la prima ad ascoltarlo in questa versione… ma tagli corto, proprio per rispetto dell’ascolto, per non coprire altre note con il dialogo, quindi dici solo: “No, no.”
Lei: “Allora assomiglia a qualcosa di famoso”. Tu, anche se infastidito da un’affermazione simile, sempre cercando di tagliare corto in rispetto suo e del pezzo: “Non credo, ma ascoltiamo…”

0:13, lei: “Ecco! Sì sembra quella canzone che davano alla radio qualche mese fa!”
Nel dire questo copre l’ingresso della batteria. Proprio quel passaggio su cui avevi lavorato per ore ed ore perché è quello che ti trascina dentro il pezzo ed era fondamentale che l’ascoltatore ne venisse catturato. Non le rispondi sperando che la discussione decada da sola.

0:17, lei: “Non mi piace la batteria. Oh, mi hai chiesto tu di essere sincera, eh! e sai che sono puntigliosa.”
Tu vorresti farle notare che una persona puntigliosa ascolterebbe tutto il brano in silenzio e poi, alla fine, parlerebbe. Ma non lo fai perché, da musicista, prevale la curiosità di capire perché la sua attenzione sia ricaduta proprio sulla batteria, uno strumento che non ha mai cagato in nessun pezzo ascoltato nella sua esistenza. Quindi non resisti e le chiedi perché.
Lei: “Non lo so, distoglie, è confusionario… non so spiegarti, non la seguo, sembra strana.” Inizia a battere le mani a tempo con la musica, “Ecco qui! Senti?”
Il suo “qui!” cade esattamente su quel gustosissimo rullante che hai orgogliosamente messo un po’ spostato dal battere per dare movimento e seguire la ricercata linea di basso. E hai fatto male! Perché se lei non riesce a batterci le mani sopra, non le piace. Con riluttanza rispondi “Ho capito cosa intendi.” Non aggiungi altro.

0:25, lei: “Comunque mi sbagliavo su quella canzone. La tua è diversa…”
Nonostante il fastidio di altra musica coperta da parole, almeno ti feliciti che non le sembri più un pezzo già sentito e che forse la questione è definitivamente chiusa.

0:27, lei: “Però almeno hai capito quale dicevo? Quello che hanno usato per quella pubblicità…”
No, non lo sai, non hai capito e non te ne frega un cazzo di quale sia quel pezzo che lei credeva assomigliasse al tuo e che però manco ci assomiglia. Però, sempre per tagliare corto e non coprire altra musica rispondi: “Sì, sì!”
Sembra funzionare: finalmente lei è silenziosa. E’ stata catturata dal pezzo, pensi.

0:47, lei: “No, niente, non lo trovo mica il titolo preciso! A te non viene in mente?”
Ti giri verso di lei e comprendi che ha passato gli ultimi 20 secondi cercando sul cellulare il titolo di quella fottutissima e inutile canzone a cui la tua canzone NON assomiglia. Quegli ultimi 20 secondi in cui è entrato anche il cantato, la tua voce, le prime parole del brano, quelle impregnate di anni di vita, di ricerca emozionale oltre che musicale e che per riuscire a metterle per iscritto prima, e in note poi, hai compiuto uno sforzo emotivo tale che per tornare quello di prima ti servirebbero 10 anni di psicoterapia. Ti senti leggerissimamente sopraffatto e ti sale la voglia di ribaltare i mobili di casa, ma mantieni la calma e, facendo trapelare un leggero tono stizzito, rispondi: “Possiamo lasciare perdere e sentire il pezzo?”
Lei: “Si, ma guarda che sto ascoltando! So di non essere un’esperta come te, ma sai che la musica mi piace e ne ascolto veramente tanta. Ti ho fatto anche l’appunto della batteria prima. Se mi chiedi di ascoltare una cosa, lo faccio per bene e cerco di essere onesta, non mi piace fare le cose così per fare.”
Sì, così per bene che con questa frase copre altri 10 secondi di musica, proprio in corrispondenza dell’entrata del ritornello, dove avevi messo quella geniale pausa da 2/4, studiata per lasciare senza fiato prima della potente entrata del distorto e che per farla suonare a modo, registrazione dopo registrazione, ci hai lasciato 4 falangi e qualche migliaio di neuroni. Va beh… almeno ora ascolterà il ritornello!

Finisce il ritornello in cui il pathos ha raggiunto vette che nemmeno nei film di Hitchcock, per il quale hai dato il sangue affinché le chitarre suonassero in quel preciso modo, perché la batteria trainasse tutto col suo ritmo come un treno d’acciaio e in modo che il basso riempisse l’armonia come l’esondazione di un fiume impetuoso, il ritornello dove hai dato sfogo a tutta la tua capacità vocale per la quale hai dato praticamente l’anima, almeno quella parte che non hai già venduto al diavolo per tutti gli altri pezzi che hai composto.
Si chiude il ritornello e tu, quasi come dopo un orgasmo, anche un po’ sudato perché sentirlo è un po’ come suonarlo, ti giri verso di lei che, cristo, stavolta è stata pure zitta! Questa parte l’ha sentita tutta! E cerchi un qualunque segno di approvazione ma… la trovi con lo sguardo sul cellulare. L’unica cosa che senti è l’arrivo di qualche notifica whatsapp e la sua risatina ebete mentre digita una risposta.
Ti senti un po’ strano, senti un mix di emozioni, come se qualcuno avesse cagato sul soffitto della cappella sistina e al contempo un camionista ubriacone ti avesse parcheggiato sopra al cane.
Fermi la musica con lo stesso sconforto e amarezza con cui firmeresti un testamento in favore del Vaticano.
Lei: “Perché hai fermato?” non aspetta nemmeno la risposta e continua, tenendo gli occhi sul cellulare, “Comunque bella la canzone.”