Come piango



È così che piange un foglio bianco. D’attese.
E un uomo piange dei compromessi che non sceglie. Gli rimangono sottopelle come parassiti spietati e pazienti.
Senza cura non si cura nulla. Né si crea. Al massimo si vomita. Ma certe volte è tutto quello che serve.
Ci sono troppe cose belle da fare. Tante che alla fine ci s’ammazza al solo accarezzarle, senza possederne alcuna. Ecco perché ci sono persone splendide che esplodono d’inutilità.
Io intanto infrango una bottiglia vuota, perché non voglio bere, voglio rompere. Tanto non c’è mai stato niente da bere in quella bottiglia. Ammetto che sono i cocci che mi interessano.
Ah quelli sì, belli appuntiti e taglienti, da tuffarmici nudo sopra e bagnare di sangue ciò che non lo merita.
Nemmeno il calore di questo sangue comprenderesti, figurati cosa questo alimenta, l’alito di vita che spira anche quando guardi dall’altra parte, la poesia sprecata mentre arricciavi i capelli e io neanche sapevo chi eri. Chi ero.
Le cime di montagne d’acqua ho navigato, in balia di me, dei venti, degli altri, di tutto eccetto che di una bussola di cui mi fidassi. Sono onesto se dico che mi bastava il sapore del sale e rimanere in piedi dopo ogni bordata. Forse era sempre stato tutto un gioco… Anche quando dopo tutto quello che ho passato, sentivo ridere delle mie vesti strappate, del sangue che sgorgava e degli arti mutilati. Valeva comunque la pena. Vedervi così miserabili, dopo tutto.
Però ho da confessarmi che non era sale. Non era mare. Non lo è mai stato. Erano lacrime. Sono sempre state lacrime.