Qualcuno mi ha detto che il pensiero nasce dalle parole.
Ti servono le parole per pensare e per ragionare. Meno parole possiedi, meno pensieri hai, meno idee, meno ragionamenti, e l’assenza di questi è spesso associata a un comportamento violento perché, se non puoi discutere a parole, allora ricorri alla violenza. Mancanza di cultura uguale violenza. Non solo, poca cultura è spesso associata anche a poca sensibilità a non essere in grado di elaborare emozioni.
Io trovo che tutto questo sia profondamente sbagliato: è frutto di una visione antropocentrica molto miope.
La criminalizzazione della persona poco acculturata, dipinta come un essere automaticamente incline a risolvere tutto con la violenza, è uno stereotipo occidentale figlio del capitalismo borghese.
Basti pensare che la violenza più feroce e pericolosa è sempre stata quella perpetrata da uomini di potere con la cravatta che hanno organizzato guerre, genocidi, speculazioni finanziarie. Violenze enormemente più impattanti di qualsiasi violenza possa essere compiuta dallo stereotipo dell’energumeno senza cultura che abbiamo in testa.
Chi ha cultura e sa come usare il sistema è sicuramente un individuo molto più pericoloso e potenzialmente violento.
Questo va ovviamente anche contro il buon senso dato che non è difficile immaginare la sensibilità che può avere una persona che non ha mai letto un libro, magari una persona disabile, una persona estremamente anziana che vive in luoghi remoti, persone che possono non aver avuto accesso ai tipici canali culturali, eppure possono essere persone sagge, sensibili, anche intelligenti. Non sono automaticamente dei mostri dalla violenza facile.
L’idea che una persona meno acculturata sia automaticamente più violenta dà anche l’idea che noi nasciamo senza cultura e che aggiungendo cultura abbiamo più strumenti che ci rendono più saggi e meno violenti. Come se l’essere umano nascesse vuoto e poi potesse essere riempito di una polverina magica che si trova nei libri, mentre chi non si abbevera da questa fonte rimane vuoto, quindi senza strumenti per capire il mondo.
Il fatto è che, essendo animali umani e vivendo in questo contesto, non esiste un essere umano senza cultura. Una persona ignorante, che possiamo etichettare come senza cultura, ha comunque una base culturale. Anche immaginando lo stereotipo di un essere umano rozzo, ignorante, magari machista, razzista, violento, non stiamo parlando di un essere umano senza cultura, ma di un qualcuno impregnato di un altro tipo di cultura, che potremmo anche definire più bassa se vogliamo, ma è una cultura. Una cultura che ha appreso. E non è affatto detto che esponendolo a un altro tipo di cultura venga in qualche modo curato: dipende da moltissimi altri fattori. Se fosse così semplice non esisterebbero persone di cultura che siano cattive o violente, e non mi pare che queste manchino. Anzi.
Come dico spesso, se un pezzo di merda si laurea, non diventa una brava persona, diventa un pezzo di merda con la laurea.
Ciò che ho descritto, in fin dei conti, è il risultato di una mera propaganda, una propaganda culturofila, volta a far sì che l’essere umano sia sempre più innamorato di e dipendente da i meccanismi culturali su cui si basa il sistema stesso e senza il quale non potrebbe esistere il privilegio e lo sfruttamento dei pochi a danno dei molti. Il sistema che giustifica se stesso nella mente dello schiavo.
La culturofilia è frutto anche di un pregiudizio di tipo specista in quanto si riconosce la sensibilità e la capacità di ragionamento di un individuo solo quando questi lo riesce ad esprimere attraverso il linguaggio che è una delle peculiarità che ci distinguono dal resto del vivente. Questa distinzione ovviamente porta con sé un senso di superiorità, non è una distinzione neutra. È facile pensare che un essere umano senza la parola sia un po’ più vicino agli animali, quindi inferiore. È facile arrivare alla conclusione che, dato che gli animali non hanno la parola, allora non sono in grado di provare emozioni, sentimenti, pensieri.
Questa è una visione che va ben oltre lo specismo e la propaganda che continuamente vuole dipingerci come la specie più evoluta, perché va contro la mera osservazione della realtà dimostrando quanto si possa essere ignoranti anche quando si difende la cultura. Basterebbe infatti levare il naso da un libro e ascoltare, ad esempio, le grida di una mucca che perde il proprio vitello per comprendere che i sentimenti come il dolore e la gioia non passano necessariamente dalle parole.
Paradossalmente, a me sembra più povero e limitante non avere altri modi di esprimere se stessi le proprie emozioni, sentimenti e pensieri se non attraverso dei simbolini grafici chiamati parole.
Dire che non esiste pensiero senza parole è un po’ come dire che non puoi immaginare la grandezza di qualcosa se non si conosce un’unità di misura.
In natura le informazioni vengono trasmesse principalmente in due modi: con la genetica e con l’esperienza diretta. Entrambi i metodi sono spesso brutali ma tremendamente efficaci.
La cultura è l’esatto opposto di questo. Non premia mai l’informazione migliore ma solo quella che viene ripetuta e tramandata a prescindere.
La cultura è, in termini pratici, un sistema di credenze non diverso dalla mitologia e dalla religione. Non a caso, il mito e la fede, così come la superstizione, non potrebbero esistere senza la cultura.
Non potrai mai convincere una scimmia libera a darti una banana dandole una banconota che rappresenta il valore di 10 banane perché occorre un sistema culturale che faccia credere alla scimmia la stessa cosa che credi tu. Fa parte della propaganda culturofila ritenere che quella scimmia non accetterebbe lo scambio perché non è in grado di capire lo scambio economico piuttosto che comprendere che sei tu a far parte di una specie che ha sostituito la realtà con la rappresentazione culturale e fittizia che ha scelto di usare per rappresentarla, finendo per dimenticare cosa sia la realtà.
Senza il sistema di credenza chiamato cultura non si potrebbero convincere milioni di persone ad essere fiere di avere un certo colore della pelle o vivere tra linee immaginarie chiamate confini fino ad arrivare ad uccidere uno sconosciuto per quell’idea inculcata appunto con la cultura. È paradossale pensare che cose simili esistano per assenza di cultura o che magari altra cultura ce ne possa liberare, senza però mai fare un ragionamento più ampio su cosa sia la cultura a monte.
Il fatto è che noi abbiamo costruito un sistema fatto di simboli e parole, e poi ci siamo illusi che quello fosse l’unico sistema per comprendere mondo e per descriverlo. Ciò che non può essere descritto e valutato con quel sistema semplicemente non esiste.
Un’altra idea alla base è infatti anche quella che l’apprendimento debba necessariamente passare dai canali culturali definiti dalla cultura stessa, escludendo di fatto tutte le altre possibilità. Alla base c’è sempre la necessità di controllo e oggettificazione della realtà, perché le sensibilità, l’apprendimento e la conoscenza del mondo devono passare attraverso canali codificati, standardizzati, valutabili e misurabili, fintamente oggettivi, quando in realtà il comprendere, il sapere, il sentire, così come le emozioni, i sentimenti, sono una varietà di elementi in termini di quantità e tipologia pressoché infinite che variano da individuo a individuo, da specie a specie e non possono essere confinati all’interno di un cazzo di dizionario.