Greta Thumberg vs Andrew Tate: una foto all’abisso.



Il battibecco tra Greta Thumberg e Andrew Tate incornicia perfettamente il livello del dibattito a cui si è arrivati oggi.

Abbiamo da una parte una giovane ragazza che inspiegabilmente è finita al centro di un movimento ecologista mondiale. Parliamo di un ecologismo di facciata, antropocentrico, di superfice, adattissimo ad essere cavalcato da corporazioni e stati per attuare il famigerato greenwashing.

Dall’altra parte abbiamo un ex kickboxer diventato famoso perché è un provocatore e partecipa spesso a podcast in rete. Io ritengo quest’uomo un pagliaccio: pieno di sé, infarcito di cattolicesimo, che sguazza nella mediocrità della mentalità del lottatore, che se vuoi arrivi (classica mentalità da capitalista dissociato dalla realtà), dell’attitudine al sacrificio, della disciplina, dei ruoli di genere, ecc.

Ecco arriviamo al battibecco: riassumendo, Andrew ha postato un tweet in cui chiedeva in maniera provocatoria a Greta la sua mail così da poterle inviare quanto inquinassero le 33 supercar che possiede.
Ora, immaginatevi un secondo quanto può essere basso e idiota un comportamento simile: possedere 33 supercar e urlare al mondo che non ti frega quanto inquinino.

Greta ha replicato a questo tweet in maniera ironica. Gli ha risposto fornendogli questa email “smalldickenergy@getalife.com”, che può essere tradotta in “insicuro@fattiunavita.com”

Il battibecco è poi andato avanti, ma a me interessa solo analizzare alcuni aspetti di questo scambio.
Un aspetto è quello del clamore: è assurdo che un battibecco di questo livello, cioè paragonabile a quello tra due bambini delle elementari che fanno a gara di insulti, possa aver avuto tanta risonanza. È angosciante che una cosa del genere possa diventare virale e finire persino sulla stampa nazionale.

Ancora più paradossale è aver visto portare in tripudio Greta che avrebbe “asfaltato”, “distrutto”, “blastato” Andrew, soprattutto da attivisti, antispecisti e persino femministe.
Io ritengo che un antispecista, dovrebbe avere un approccio come minimo radicale all’ecologia e Greta dovrebbe rappresentare un pericolo, cioè tutto quello che l’establishment ha sempre creato o usato per ridurre l’ecologismo a giardinaggio, per poter procedere con la distruzione animale e ambientale con la maschera green sulla faccia. No, invece ho visto non solo osannare il tweet, ma difendere anche il personaggio stesso di Greta e quello che rappresenta.

Per quanto riguarda il femminismo, o meglio, quella parte di femminismo incancrenito dal movimento woke e da tutte le minchiate partorite dai ricchi salotti pseudo liberal bianchi d’oltreoceano, è aberrante che il tweet di Greta sia stato portato in trionfo.
Il motivo per cui lo trovo aberrante sono le parole usate da Greta per dire “insicuro” nella mail inventata ovvero “Small dick energy”, letteralmente “Energia del cazzo piccolo”.
Su Wiktionary il suo significato è appunto “Lack of self-confidence; timidity, diffidence”, cioè qualcuno che non è sicuro di sé.
Su Urban Dictonary possiamo leggere che significa qualcuno che si comporta come se avesse un segreto imbarazzante. Il dizionario poi si prodiga ad assicurarci che non ha nulla a che fare con la reale dimensione del pene di qualcuno.
E questo è stato ovviamente sbandierato ai quattro venti per stabilire che quello di Greta non è body shaming né tantomeno sessismo.
Certo, qui la dimensione del pene non c’etra nulla! Come vi viene in mente? Stai solo descrivendo qualcuno che è insicuro e vuole nascondere qualcosa di imbarazzante, paragonandolo a uno che ha il “cazzo piccolo”. Non è che automaticamente sto sostenendo che se uno ha il cazzo piccolo significa che ha qualcosa da nascondere e si sente insicuro. Macché.
Del resto, se io usassi “figa secca” per descrivere qualcuno che non si lascia andare, sono certo che ci sarebbero eserciti di persone pronte a dimostrare che è solo un modo di dire che non c’entra nulla con il reale grado di umidità della cavità vaginale femminile. Vero?
Ironia a parte, il riferimento a una parte del corpo e più specificatamente a quella sessuale di un maschio è evidente, a prescindere dalle capriole lessicali che si vogliono fare. Un movimento o un individuo che si dice contro sessismo e body shaming dovrebbe come minimo storcere il naso di fronte a una locuzione simile, se non combatterle e osteggiarle apertamente, non certo trovare scuse.

Questo è l’ennesimo quadretto che incornicia l’abisso in cui siamo sprofondati.
Il rendere popolari personaggi abietti, inutili, pericolosi; il culto del blast senza mezze misure, c’è chi ha vinto e chi ha perso, non ci sono altre analisi; il fallimento di un certo attivismo che svela le sue tremende mancanze e farraginose basi ideologiche, difendendo personaggi che rappresentano l’opposto di quello che si dovrebbe sostenere, che ipocritamente utilizzano due pesi e due misure dimostrando che quello che vogliono perseguire non è la fine di un’oppressione ma la caccia all’oppressore, questo perché per colpire l’oppressore basta appiccicare un bersaglio dove capita, mentre per colpire l’oppressione serve capirne i meccanismi e procedere su strade che il più delle volte non prevedono bandiere, slogan, identitarismo e soprattutto la comodità di sentirsi sempre dalla parte della ragione anche andando contro a quello che si sostiene di voler ottenere oltre che alla logica di base.