Inra-visione

Alla fine sono riuscito ad operarmi. È successo una settimana fa.
È stata la mia decima operazione agli occhi, un intervento che mi ha fatto fare un balzo indietro di 7 mesi + 5 anni.


7 sono i mesi appena scorsi, in attesa di essere operato, durante i quali non vedevo praticamente più niente se non usando due paia di occhiali pesantissimi e solo per un campo visivo ristretto, costretto alla semi immobilità con la paranoia che ogni minuto la situazione potesse aggravarsi.
5 anni invece sono quelli trascorsi dall’intervento precedente che all’inizio andò bene, ma poi dopo poco tempo mi ritrovai a vedere doppio ad ogni movimento della mia testa, come trovarsi costantemente in barca, vedendo bene solo rimanendo immobile. Così è stato per 5 anni.
Entrambe situazioni a cui mi ero faticosamente abituato, a volte fa paura a cosa ci si riesce ad abituare. Cambiare vista in questo modo è come cambiare pianeta. Adesso devo cambiare di nuovo.
L’operazione sembra andata bene, per ora non ho avuto complicazioni. Questo il lato positivo.
Il prezzo di questa “liberazione” è stata l’operazione più dura in termini fisici e psicologici che abbia mai affrontato. Partendo da medici che ti ignorano, risposte elusive, attese estenuanti (anche 8 ore per due visite ospedaliere), dolore, dubbi… E questa è chiaramente solo la superficie che purtroppo non suonerà inusuale per molti che hanno avuto a che fare con la sanità, magari per cose anche più gravi della mia. Ovviamente tutto va visto in proporzione ed ognuno vive i propri inferni e paradisi.
Se dovessi trovare un modo per descrivere l’operazione in sé, la definirei una tortura consensuale. Partendo dalle 3 ore lasciato da solo in sala pre-operatoria, senza spiegazioni, senza occhiali e quindi praticamente cieco, per arrivare poi all’intervento in cui ero lucido, ho sentito fastidio per tutto il tempo, persino dolore alla fine, tanto da lamentarmi e usare il turpiloquio. Insomma è stato qualcosa di più pesante di quello che pensavo di affrontare basandomi sulle 9 operazioni precedenti.
Il risultato finale deve essere ancora da valutare: l’occhio mi fa ancora male, devo curarlo costantemente, devo muovermi il meno possibile, la messa a fuoco è cambiata, si è avvicinata, e la qualità visiva non è delle migliori, almeno per ora. Non so ancora quale sarà la vista del pianeta a cui dovrò di nuovo abituarmi. Mi accontento che ci sia qualcosa da vedere, perché il rischio era quello di non avere più nulla da guardare.
Mi accontenterei di non avere più preoccupazioni così pesanti e di non darne più a chi mi vuole bene… senza contare il fastidio, il tempo e le energie che spendono per me.
La cosa che mi sta pesando molto in questo momento è la sensazione di fondo che si sta depositando dopo questo evento. Dopo tutto quello che ho passato a causa delle altre operazioni (e ci sono stati periodi in cui ne ho dovute fare 3 in un mese, con recuperi post operatori molto, molto complicati) alla fine, dopo le cicatrici, rimaneva anche qualcos’altro, qualcosa che definirei “esperienza” nel senso più lato del termine, qualcosa che mi faceva, almeno credo, diventare migliore di prima. Mi sono sempre sentito un sopravvissuto, il sentimento di avercela fatta era un premio, qualcosa da conservare e usare per vivere diversamente il resto della vita. Questa volta invece è diverso. Questa volta sento solo cicatrici, non avverto nessun traguardo, nessun premio, sento solo che mi è stato tolto qualcosa. Mi aggrappo all’idea che sia solo una sensazione momentanea dovuta a questo lungo periodo di limbo pre-operatorio e a difficoltà forse al di là di quello che ero pronto ad affrontare, aggiunte anche a una serie di delusioni in ambito attivista e personale.
Alla fine quindi rimane solo un grande interrogativo: non so a che mondo dovrò abituarmi a vedere né che osservatore sarò io per il mondo e per me stesso, cambiato così da questi accadimenti. Quindi non so che accadrà a me come persona né a queste pagine.
Volevo chiudere ringraziando tutti coloro che hanno espresso vicinanza e appoggio. Anche se per ovvie difficoltà fisiche e per mia riservatezza non sono uso raccontare di me e quindi posso aver dato l’idea di trascurare queste espressioni di vicinanza, posso assicurare che è l’esatto opposto.
Concludo con una poesia che ho vomitato e dettato alla mia compagna la sera dell’intervento. Grazie di aver letto sin qui.

 

Intra-visione

Al di là della cecità e del dolore
ho chiaramente visto e sentito
bianche strutture aliene
tre occhi mi fissavano
a formare un triangolo
minacciosi si scurivano
emergendo dalle nebbie lattiginose
di questo universo impossibile.