Chi sono in realtà i “leader politici”?

Articolo tratto da vonmises.it, un po’ vecchio, ma sempre buono per capire con chi abbiamo a che fare. [cit. Claudio Marconi]

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Gli economisti della “Public Choice” fondano le loro analisi sul presupposto che il comportamento degli individui non differisca affatto, a nulla rilevando che essi  operino in qualità di attori intenti a condurre i loro affari in un contesto di mercato, anziché nell’ambito della sfera politica. Di fatto, come essi sostengono,  l’uomo che  gira per negozi a fare shopping, è lo stesso che poi andrà a votare. La donna che decide dove investire i suoi risparmi è la stessa donna che opera in qualità di rappresentante dello Stato.

Nel gergo economico, ogni persona è contraddistinta da una funzione di utilità, che rimane invariata a prescindere che  la persona agisca nel mercato o nell’arena politica. Se le persone si comportano in modo diverso quando sono investite dell’autorità di comando, lo fanno esclusivamente perché i politici e i funzionari pubblici rispondono ad incentivi differenti e sono sottoposti a vincoli del tutto diversi rispetto agli attori che operano nel settore privato. Di conseguenza, gli analisti della “Public Choice” asseriscono, tra le altre cose, che è del tutto superfluo “buttar fuori i mascalzoni” dalle elezioni, in quanto i nuovi titolari di cariche pubbliche, che gli succederanno, diventeranno essi stessi dei mascalzoni, a fronte degli incentivi e dei vincoli, inerenti alla loro posizione, cui saranno ben presto sottoposti.

Come ci si attende da qualsiasi presupposto operativo, questo deve essere funzionale ad un determinato scopo. Nella fattispecie, esso consente all’analista di astrarre da tutte le differenze che possono contraddistinguere gli attori pubblici da quelli privati, e quindi di determinare come le differenze istituzionali negli incentivi e nei vincoli, da sole, siano passibili di suscitare condotte diverse, anche se gli agenti sono animati da motivazioni identiche. Sin qui, nulla da eccepire.

Purtroppo, in questo come in altri casi, gli analisti finiscono per restare prigionieri del loro stesso presupposto teorico. Di lì a poco, essi cominciano a pensare che esso si materializzi in tutta la sua ontologica effettività, e non sia solamente una elaborazione utilmente funzionale. Addirittura, gli esponenti più infervorati considerano qualsiasi riserva avanzata nei confronti del presupposto teorico come un indice di fragilità mentale.

A prescindere da quali possano essere i meriti ascrivibili all’impiego di questo presupposto teorico nell’ambito dell’analisi politica, l’idea che le persone che detengono il potere politico siano esattamente come tutte noi è manifestamente falsa. Lord Acton non stava certo  sprecando fiato, quando ebbe a dire che <<il potere tende a corrompere; il potere assoluto corrompe in modo assoluto>>. Né stava commettendo un errore quando ha osservato che <<i grandi uomini sono quasi sempre uomini cattivi>> – almeno se  con l’espressione “grandi uomini” si intendono coloro che hanno esercitato o esercitano un grande potere politico (Lord Acton come citato da James C. Holland nella sua “Introduzione” a John Emerich Edward Dalberg, Acton, The History of Freedom. Grand Rapids: The Acton Institute, 1993, p. 2).

Tra i passaggi più memorabili di Road to Serfdom di Friedrich A. Hayek (Chicago: University of Chicago Press, 1944) vi è sicuramente il titolo del capitolo 10, “Perché sono i peggiori ad arrivare al vertice”. Hayek stava analizzando la natura delle dittature collettiviste, quando non poté fare a meno di notare che <<saranno garantite opportunità speciali per i soggetti spietati e senza scrupoli>> e che <<la disponibilità a compiere atti criminali si pone come un percorso obbligato che conduce all’avanzamento di carriera e al potere>> (p. 151).

Ma l’osservazione di Hayek vale sicuramente anche per i funzionari dei governi “meno estremi”, per così dire. Al giorno d’oggi quasi tutti i governi, anche quelli di Paesi come gli Stati Uniti, la Francia, o la Germania, scherzosamente dipinti come “liberi”, offrono numerose opportunità per i soggetti crudeli e senza scrupoli. Come ha avuto modo di constatare Robert A. Sirico, facendo il verso a Lord Acton, <<i corrotti cercano il potere e ne abusano in maniera assoluta>> (Wall Street Journal, 20 agosto 1996). Le persone perbene, quasi per definizione, non sono indotte ad esercitare un potere di comando politico sul loro prossimo. Quello che non si riesce a capire, invece, è perché mai  tanti cittadini continuino ad ammirare e ad essere deferenti nei confronti di quei viscidi farabutti che li governano.

Fra tutte le analisi di scienza della politica che mi sia capitato di leggere, la maggior parte delle quali è incline a supportare in maniera ossequiosa i miti propagati dalla stessa classe politica al comando, la migliore è certamente quella dell’antropologo F.G. Bailey, Humbuggery and Manipulation: The Art of Leadership (Ithaca: Cornell University Press, 1988). Bailey arriva dritto al punto, notando sin da subito, nella prefazione, che <<i leader politici e i gangster hanno molte cose in comune>> (p. xiii).

Naturalmente, i leader politici sono molto più ambiziosi dei gangster. Questi ultimi si accontentano di estorcervi i vostri soldi, mentre i primi, oltre a taglieggiarvi, hanno pure la sfrontatezza di violare i vostri sacrosanti diritti, ogniqualvolta il loro capriccio lo imponga, attendendosi per giunta la  vostra gratitudine per la  compassionevole devozione che essi avrebbero dimostrato nei confronti del vostro benessere.

Per blandire i cittadini ed indurli in un profittevole stato mentale di frustrante sudditanza psicologica e di perenne infantilismo, i leader politici sono portati a sfornare, a getto continuo, delle frasi fatte senza senso. I loro seguaci

sono mossi alla devozione dal falso interesse mostrato nei loro confronti dal leader, dalla sua supposta ammirazione verso di loro, o dalla fedeltà ad una causa in cui essi stessi credono,  ammantata con il pretesto della virtù; ma si tratta solamente di un sordido imbroglio. … [Il] ruolo di leader richiede prerogative volte ad ottundere invariabilmente la verità delle cose, le quali spaziano dalle suadenti e quasi inoffensive esagerazioni metaforiche … alle azioni che ci si guarda bene dal riportare nelle autobiografie, in quanto, se va bene, sono vergognosamente disoneste, quando non addirittura del tutto criminali. (p. 169)

Una persona onesta, che per ventura avesse intrapreso una strada sbagliata e si fosse ritrovata, suo malgrado, in una posizione di leadership politica, sarebbe durata non più a lungo di una monaca in un bordello. E, se nel frattempo, non fosse stata spodestata da qualche spietato rivale, capace di approfittare della prima occasione utile, la persona perbene avrebbe immediatamente rimesso il suo mandato, totalmente disgustata. Come le persone che non possiedono la dote della combattività non potranno mai diventare dei pugili professionisti, così le persone che non vantano un talento spiccato nel campo della menzogna, del latrocinio, e, qualora necessario, del favoreggiamento all’omicidio, non potranno mai essere dei buoni politici, nel senso moderno del termine. Come ha puntualizzato Bailey,

I leader non sono le persone virtuose che sostengono di essere; essi antepongono la politica all’arte di governare; distorcono i fatti e banalizzano le questioni; promettono cose che nessuno avrebbe potuto offrire; e sono dei bugiardi patentati …  I leader, se vogliono essere efficaci, non hanno alcuna possibilità di scelta. Non potrebbero essere virtuosi (nel senso di eccellere dal punto di vista morale) ed essere leader allo stesso tempo. (p. 174)

Alcuni detrattori hanno condannato le analisi della “Public Choice” , in quanto promuoverebbero il cinismo nei confronti della politica, dei funzionari governativi, e degli affari pubblici in generale. Al contrario, Bailey esamina la scena attraverso gli occhi disincantati di uno scienziato sociale tutt’altro che sprovveduto. <<Il più delle volte>>, afferma, <<l’impostura funziona e i seguaci entusiasti sono spinti da un’onda di passione e di euforia, fino a che questa si infrange sugli scogli della cruda realtà ed essi si ritrovano, tutt’a un tratto, buttati a mare. I cinici, nel frattempo, rimangono al di là della cresta dell’onda e stanno a galla>> (p. 173).

Ad ogni modo, penso sia vero che le analisi della “Public Choice” inducano al cinismo nei confronti dei leader politici. Ma non tanto quanto essi meritino.

Articolo di Robert Higgs su Mises.org.

Traduzione di Cristian Merlo.

Fonte: vonmises.it