Esiste un film bellissimo che si intitola L’Odio (La Haine – 1995, scritto e diretto da Kassovitz) in cui si racconta un duro spaccato delle banlieue di Parigi, i quartieri poveri, in mezzo a degrado, disoccupazione, droga, violenza della polizia.
Nel film la voce di uno dei protagonisti recita fuoricampo: <<Questa è la storia di un uomo che cade da un palazzo di cinquanta piani. Mano a mano che cadendo passa da un piano all’altro, il tizio, per farsi coraggio, si ripete: “Fino a qui tutto bene. Fino a qui tutto bene. Fino a qui tutto bene.” Il problema non è la caduta, ma l’atterraggio.>>
Questa frase incarna perfettamente lo spirito che si può trovare nelle zone degradate, dovunque ci sia costante paura di morire e la vita non sia affatto semplice. Si deve trattenere il fiato e pensare che anche se è chiaro che si sta sprofondando, che si è in una situazione tremenda, fino a prima dello schianto possiamo fingerci positivi e dire che “fin qui va tutto bene”. Anche se questo può dare coraggio a chi sta vivendo in quelle situazioni, vista dall’esterno non si può non percepire l’amarezza e la tragicità di una tale attitudine, che è solo una magra consolazione e spesso addirittura tarpa le ali a qualsiasi tentativo di cambiare radicalmente la realtà.
Trovo ci sia una forte similitudine con coloro che, anche di fronte a quanto la civiltà e la tecnologia ci stiano portando verso il collasso con mari acidificati, sesta estinzione di massa, cambiamenti climatici, mismatch evolutivi, antibiotico resistenza ecc. continuano a ripetere e ripetersi i vantaggi che questa situazione ha creato, anche se questi vantaggi sono per pochi, anche se non fermeranno il disastro. Esattamente come quell’uomo che cade dal palazzo, solo che anziché ripetere “fin qui tutto bene” con un’amara consapevolezza, in questo caso direbbe “Sì, però guarda che vista! Guarda che velocità”.
Il problema non è la caduta ma l’atterraggio. E noi non solo vogliamo ignorare il fatto di stare cadendo, ma vogliamo credere che sia bellissimo.