La cosiddetta intelligenza artificiale colpisce anche il mondo della letteratura scientifica



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La cosiddetta intelligenza artificiale colpisce anche il mondo della letteratura scientifica.
Avete presenti le riviste scientifiche, anche blasonate, che dovrebbero pubblicare articoli revisionati dalla “comunità scientifica” e che quindi fanno poi da base per validare altre ricerche? Sta esplodendo il caso che vede queste riviste inondate da ricerche scritte con l’intelligenza artificiale.
Come si scoprono? Basta andare sui siti di queste riviste e fare una ricerca inserendo come parametri delle frasi che solo un’intelligenza artificiale direbbe, cose come “Al mio attuale stato di conoscenza…”, oppure, “Ecco un suggerimento…”, e simili.
Insomma, basta cercare nei testi delle ricerche scientifiche quelle frasi che l’intelligenza artificiale include nelle risposte generate e che il ricercatore si è dimenticato di eliminare.
Questi naturalmente sono solo gli articoli che si possono “sgamare” facilmente. Quanti sono stati scritti con l’intelligenza artificiale, cosa espressamente vietata dalle linee guida delle riviste scientifiche? Non possiamo saperlo ovviamente. Gli articoli ritirati per questo motivo sono già centinaia, ma sono solo quelli emersi.
A questo punto va ricordato che, secondo il vangelo dello scientista, gli articoli pubblicati dovrebbero essere validati dalla “comunità scientifica”. Quando uno scientista afferma “lo dice la scienza”, nella sua testa ha tirato fuori un’inoppugnabile verità fattuale perché la locuzione verbale che ha usato, così come si usa una litania religiosa, gli fa sentire tutto il potere del mito della comunità scientifica, ovvero milioni e milioni di addetti ai lavori, attentissimi, integerrimi, disinteressati, che si mettono a controllare nei loro laboratori ogni singolo dato che viene fornito da tutti gli altri addetti ai lavori a loro volta attentissimi, integerrimi, disinteressati, prima che uno solo di questi dati venga pubblicato su una rivista.
Ho già parlato di questo mito in un lungo articolo che, tra le altre cose, comprende una dichiarazione di un capo editore del Lancet, una delle riviste più prestigiose, che mette in luce come gran parte della letteratura scientifica, probabilmente la metà, è semplicemente falsa. La percentuale di addetti ai lavori che riesce a replicare studi pubblicati di altri è tragicamente bassa, attorno al 30%. La metà non riesce a replicare nemmeno i propri studi.
Bene, adesso abbiamo un’altra testimonianza di come questa “comunità scientifica” funzioni, soprattutto come baluardo di validazione di cosa poi “dirà la scienza”, finendo invece per pubblicare roba che sarebbe stata cassata da un professore delle medie minimamente attento a quello che legge. Figuriamoci validare il contenuto stesso delle ricerche che magari constano in esperimenti di laboratorio durati anni in condizioni quasi impossibili da replicare ed effettuati basandosi su altri dati di altre ricerche validate allo stesso modo.
Questo è quello che io vedo quando sento dire “lo dice la scienza”.
“Ah, quindi credi nella terra piatta, nei rettiliani e pensi di curare il cancro con le preghiere?”
Io ovviamente no. Perché non ragiono a schieramenti. E se mi sento preso per il culo, non sposo automaticamente quello che sostiene chi si contrappone a chi mi prende per il culo, anzi, se mi sento preso per il culo da una fonte che dovrebbe essere autorevole, sono ancora più scettico verso fonti che non hanno nemmeno la parvenza di autorevolezza. Io faccio solo uso del pensiero critico anche sulla scienza e metto in luce le evidenti falle, il pericolo di un mondo basato su quella finta autorevolezza che diventa autoritarismo. Ecco, se fare questo, usare il pensiero critico, automaticamente triggera la paura che si stia credendo all’uomo nero, direi che il parallelismo tra scienza e religione, con l’inerente bisogno di fede, dogma e stigmatizzazione di chi non crede, è definitivamente confermato.