Friday for Future e Ultima Generazione sono due movimenti che, a mio avviso, condividono alcune importanti criticità.
Posto che per me le azioni dimostrative non violente sono un ottimo mezzo per portare avanti istanze per cambiamenti radicali, il nocciolo del problema risiede nell’interlocutore di queste proteste e nella visione che viene proposta.
L’interlocutore di questi movimenti sono multinazionali e governi. Questo significa che le proteste dovrebbero portare al tavolo delle trattative questi colossi al fine di rendere etiche le multinazionali o forzare i governi a varare leggi che obblighino le multinazionali ad essere tali.
Questo è fallace sotto diversi aspetti. Forzare delle multinazionali ad essere etiche è un ossimoro in quanto il loro campo da gioco è ed è solamente il profitto, e il profitto è in antitesi con l’etica. Nei rarissimi casi in cui questi due elementi convergono, le aziende si muovono da sole verso l’etica, senza il bisogno di proteste. Nessuna azienda pianificherà di guadagnare meno per essere etica, se lo farà, sarà presto mangiata viva dalla concorrenza delle altre. Il margine di successo delle proteste in termini sociali quindi è, quando va bene, minimo e temporaneo.
Forzare governi ad emanare leggi che obblighino le multinazionali ad essere etiche sarebbe un’azione perfetta se i governi funzionassero in maniera completamente opposta a come in effetti funzionano. Il più delle volte sono le multinazionali (le più grandi, proprio quelle si vorrebbero colpire) a fare pressione sui governi, non il contrario. La pressione che un gruppo di attivisti può fare su un governo, inoltre, è irrisoria rispetto alla capacità di quest’ultimo di ignorare le proteste, criminalizzarle o fingere di ottemperarvi ad esempio prendendo tempo o varando leggi che poi saranno aggirate.
Oltre a tutto questo, richiedere a multinazionali e governi un cambiamento significa sostenere e alimentare il paradigma della delega, accettare che siano loro a fare il gioco e, se ci deve essere un miglioramento, non possiamo fare altro che chiederlo, supplicarlo, farcelo concedere. Questo è molto ironico, tra l’altro, se pensiamo che questi movimenti sono portati avanti da giovani che non hanno paura a prendersi le proprie responsabilità rischiando del proprio quando partecipano ad azioni di disobbedienza civile… al fine di delegare però, lasciando intatto un contesto in cui esistono società multimiliardarie che speculano e posseggono il pianeta, assieme a istituzioni governative il cui unico scopo è mantenere in auge un sistema oligarchico di potere facendolo passare per democrazia.
Un’altra criticità è lo scopo, la visione. Il punto focale di questi movimenti sembra quello di rendere sostenibile il sistema attuale, quindi parliamo di un sistema da convertire, non sovvertire. Si tratta di trovare strade che rendano non inquinanti, a impatto zero, il produttivismo e l’industrializzazione già presenti.
Seppur sia evidente e corretta la critica al capitalismo, non c’è alcuna presa di coscienza di come il capitalismo sia solo UNA forma di sfruttamento, basata su competizione e accumulo di risorse. È un paradigma che sicuramente ha accelerato la distruzione ambientale, ma non ne è la causa. Paradossalmente, se potessimo far sparire i soldi, gli scopi della civilizzazione rimarrebbero comunque invariati e avremmo un sistema di devastazione ambientale pressoché identico. Spesso non ci si rende conto di questo perché, immaginando il mondo di oggi senza capitalismo, si fa l’errore di immaginarlo come un qualcosa di simile al mondo pre-rivoluzione industriale, con quell’impatto ambientale limitato dall’avanzamento tecnologico dell’epoca. Per avere invece un’idea più realistica dell’impatto ambientale di un sistema non capitalista di oggi, dobbiamo immaginarcelo comunque con la forza distruttrice ed efficiente della megamacchina tecnologica di oggi, affamata di terre rare, leghe metalliche, microcomponenti, con oggetti sempre più miniaturizzati e invasivi che diventano indispensabili, dove tutto è deciso da supercomputer e algoritmi che hanno bisogno di sempre più energia, senza contare l’incubo distopico di vivere in un mondo fatto da macchine, per le macchine, dove tutto è sempre misurato in termini numerici e tutto deve funzionare come se fosse un numero, umani, animali e natura compresi. Spegnere semplicemente il “turbo” causato dal capitalismo non ferma questo treno in corsa, al limite lo rallenta.
La superficialità di questa visione è confermata anche dal fatto che in questi movimenti la questione animale non è affrontata quasi per niente e, quando lo è, viene affrontata sempre da un punto di vista antropocentrico. Il resto del vivente rimane comunque qualcosa da gestire, anche se diversamente, con responsabilità, ecc., e il paradigma dell’essere umano che ha a disposizione il pianeta e gli animali non cambia. Non mettendo in crisi questo, è come non mettere in crisi nulla perché, a mio avviso, è proprio questa mentalità che è alla base della distruzione ambientale. È questo equilibrio che si è perso e di certo non lo ritroveremo sostituendo le centrali a carbone coi pannelli solari. Piuttosto che chiederci COME stiamo mandando avanti il sistema, dovremmo chiederci PERCHE’, ma questa domanda, chiaramente, non può essere portata nelle stanze di quei poteri che devono la loro stessa esistenza all’assenza di quella domanda.