Una lotta fallimentare

C’è una parte dell’antispecismo che è convinta di combattere lo specismo sabotando i luoghi di tortura e uccisione degli animali non umani.

Cioè lo 0,0X% della popolazione pensa di sconfiggere l’ideologia specista che genera il dominio sugli animali non umani impedendo nella pratica che quel dominio si verifichi. Lo scenario pressoché ridicolo che si delinea è questo: anche riuscendo nell’impossibile traguardo di sabotare efficacemente dei colossi industriali al punto che questi smettano di produrre (nonostante i consumatori vogliano e chiedano quei prodotti), si avrà un mondo comunque specista ma che non riesce a mettere in pratica lo specismo perché un gruppetto di persone glielo impedisce. Questo sarebbe “combattere lo specismo”.
Un po’ come se io volessi combattere la guerra chiamando a raccolta degli attivisti per andare a rompere i fucili ai militari o occupando le caserme.

Lasciando da parte l’errore a monte, per riuscire a sabotare fisicamente macelli e allevamenti al punto di farli chiudere servirebbe un numero di persone enorme che sarebbe comunque una piccola parte tra quelli che già hanno smesso di acquistare prodotti animali. Questo significa che, paradossalmente, se ci fossero i numeri per un’impresa del genere, ci sarebbero talmente tanti vegani che il mercato sarebbe già in ginocchio e le aziende comincerebbero a chiudere da sole per il drastico calo di acquisti.

I macelli e gli allevamenti sono il sintomo dello specismo, non lo specismo stesso. Quindi secondo me questa parte di antispecismo sta mobilitando un enorme dispendio di energie, assumendosi elevatissimi rischi, tutto per attaccare un obiettivo indiretto, impossibile da abbattere e che se utopisticamente colpito nemmeno intacca la cultura specista. Trovo tutto ciò tragicamente fallimentare.

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