40 anni di “perché?” – PODCAST n.31

Nessuno ricorda la propria nascita. Allo stesso modo spesso non ci si ricorda come sia nata una parte di noi, un’attitudine, una sensibilità, un interesse. Molto spesso riusciamo ad individuare degli scalini, dei gradini che hanno segnato dei cambiamenti, più o meno importanti, anche radicali, in noi. Ma la sorgente, la nascita di quei cambiamenti, quella è un’altra storia. Aggiungiamo a questo che spesso non riusciamo nemmeno a capire chi siamo, adesso, abbiamo terrore degli specchi, non abbiamo idea di dove ci troviamo né perché. Figuriamoci capire come siamo arrivati e da dove. 

La vita ci porta ad essere naufraghi perché alle stelle abbiamo sostituito dei led, lucine virtuali che cambiano continuamente e che non significano assolutamente nulla. Abbiamo virtualizzato le mappe stellari della nostra esistenza, alla deriva in territori che conosceremmo benissimo, visto che siamo noi stessi, ma imbambolati e sperduti perché in balia di bussole starate, in continua produzione dalla fabbrica di turno. E fingiamo tutti di non aver più bisogno delle stelle: le abbiamo su un monitor.
E così passiamo vite a fingere d’essere qualcosa, qualcuno, fingendo che ci sia posto, un vero posto, per un essere umano in una società a cui servono solo pedine, ingranaggi, non persone. Non c’è da stupirsi di quante energie si siano spese e si continuino a spendere per normalizzare questo mondo, normalizzare le nostre vite che non sono altro che ombre generate da una macchina che deve continuare a muoversi, altrimenti muore. E così crediamo a quella normalizzazione, altrimenti si muore.

E così mi chiedo: io quando sono nato?
Non biologicamente, ovviamente, ma come individuo. Questa domanda non implica che io creda di essere qualcosa di speciale né di essere arrivato da qualche parte. Non sono nessuno e la strada non è ancora finita. Non è mai finita.
È solo che mi sto fermando un secondo. Mi sto scattando una foto perché oggi compio 40 anni.
E mi chiedo: quando sono nato?

Mettendo faticosamente da parte lo tsunami, l’amaro tsunami formato dall’urto meteorico di tutto quello che so di aver sbagliato, di aver lasciato a metà, di non avere il coraggio di affrontare, ecc. riesco ad intravedere una risposta: Perché?
Sì, in realtà è una domanda, ma in questo caso forse è anche la risposta cioè io sono nato quando ho iniziato a chiedermi perché. E se è vero che tutti i bambini passano la fase del chiedere “perché?” allora sarebbe meglio dire che sono nato quando non ho smesso di farlo.

Mettere in discussione. Non farsi bastare quello che è ovvio.
Ricordo la prima cosa di vagamente filosofico o poetico che scrissi e che diceva: “Per qualcuno oggi fu futuro. Per altri sarà passato. Ma qual è il presente?” Avevo 12 anni più o meno.
Relatività. Questo è un altro punto focale. Riuscire a ruotare la realtà percepita come un prisma per proiettare sulle pareti la luce separata di realtà alternative create da semplici punti di vista differenti che se esistono per cose come il tempo e lo spazio, figuriamoci se esistono e quanto possano pesare per cose ben più soggettive.
Smettere di essere il centro di tutto, essere il centro solo di sé per trovare la forza ogni volta di ricominciare qualsiasi cosa accada, ma comprendere di essere solo un punto. Un misero punto sempre in divenire, momentaneo, erroneo e limitato. Per questo bisognoso della comprensione di ciò che è ma soprattutto di ciò che NON è, in altre parole abbandonare la dipendenza verso i propri pensieri, opinioni, ciò che si crede vero, fino a ciò che si fa e la realtà che si sta vivendo. Tutto questo non siamo noi, sono cose che possono e devono poter essere mutate senza resistenza.

Ora sono qui, a 40 anni, con la forza di ignorare quello tsunami che ho descritto solo in parte altrimenti non basterebbe una vita per raccontarlo e sicuramente non basta una vita per sopportarlo, sopportare me, chi sono, chi non sono riuscito ad essere. Sono qui su una strada difficile assieme ai pochi che mi sono rimasti a fianco per continuare a porre e pormi quei “perché?” e provare ancora a comprendere, a rompere schemi e limiti, e alla fine forse anche cambiare qualcosa.